Uno degli elementi che, forse più di ogni altro, ricorre nell’opera di Björk è l’intreccio di tecnologia e vita. Appuntandole costantemente come una falsa dicotomia Björk è riuscita a guadagnarsi la fama di innovatrice assoluta, pur mantenendo una costante ossessione per la potenza e l’immediatezza del mondo naturale. Che fossero le fiabe innamorate di Vespertine, i canti guerrieri di Homogenic o le invocazioni primordiali diMedùlla, i suoi brani hanno sempre giocato sullo scarto fra tradizione e sconcerto, tra elettronica e radici folk, tra beats e cuori pulsanti: “Nature is ancient, but surprises us all”, ci ribadiva non troppo tempo fa. Con Biophilia, molto più che il suo ottavo album, Björk concepisce un progetto di ampissimo respiro e al contempo, per la prima volta nella sua carriera, trasforma la medesima fascinazione per la natura e i suoi patterns in un’osservazione al microscopio, un connubio di arte e scienza che nuovamente rendono il suo lavoro de-centrato e ineguagliabile. L’idea nasce al termine del tour di Volta durante il quale vennero usati dei tablets come programmatori. Björk compone parte dei nuovi brani su un iPad e alla fine dei giochiBiophilia diventa il primo app album della storia. L’idea generale è quella di trasporre in musica e immagini alcuni fenomeni e schemi rinvenibili in natura, uno per ciascuno dei dieci brani: ogni brano viene sviluppato in un’app interattiva, in cui è possibile esplorare i temi del pezzo, trasformarlo in una nuova versione e giocare con dettagliate animazioni. Tutte le app sono contenute in una madre-app, concepita come una costellazione da cui tutti e dieci i capitoli dipartono. Ma Biophilia è anche altro: il progetto debutta nell’estate 2011 con una serie di concerti al Manchester International Festival, solo l’inizio di una serie di installazioni che nel giro dei tre anni successivi intendono toccare otto città; Biophilia è inoltre una serie di workshop per bambini in collaborazione con istituti da tutto il mondo e un documentario sulla genesi del progetto. Il disco, inizialmente posticipato per “problemi concettuali” che sottraevano “corpo” ad alcuni brani, non risente di questo eccesso di informazione e progettualità: come Bjork stessa ha dichiarato, Biophilia, almeno in teoria, “it’s more about simplyfing things rather than complicating them”. E di fatto i dieci pezzi, tra i più studiati e futuristici della sua carriera, funzionano bene anche da soli. In Moon quattro “arpe gravitazionali” (un ibrido di arpa e pendolo) si inseguono su quattro note differenti a ricreare la ciclicità di ogni rinascita fisica ed emotiva. Thunderbolt (cui contribuisce la collaboratrice storica Leila Arab) impiega una bobina di Tesla per ricreare il suono fragoroso di un fulmine: la scarica elettrica funge da linea di basso e il suo propagarsi improvviso trova il suo corrispettivo musicale nella forma disunita dell’arpeggio. Il singolo Crystalline, co-prodotto con 16bit, si qualifica come uno dei brani più riusciti della nostra. Puntellato dal suono di un gameleste (un ibrido di Gamelan e celesta azionabile a distanza da MIDI o iPad, costruito appositamente per Björk da Björgvin Tómasson e Matt Nolan) che batte in un inarrestabile 17/8, il brano associa la rigida struttura dei cristalli al susseguirsi di verso e ritornello tipico del formato-canzone tradizionale. L’ipnosi si trasmuta poi in un’esplosione drum’n’bass che non sfigurerebbe in un disco di Squarepusher o Aphex Twin. Cosmogony, matrice della madre-app, recupera gli ottoni cari alle atmosfere di Volta. Forse il brano più “pedagogico” del disco, è un inno all’equilibrio dell’universo: Björk, posata e ammaliante, ci racconta di spiegazioni scientifiche e filosofiche sull’origine del mondo, trovando il suo personale equilibrio tra astrazione e storytelling.
Il disco ha un baricentro oscuro e finanche ostile: Dark Matter e Hollow si concentrano su organo e voce per esplorare la dimensione più misteriosa e impalpabile della natura: Hollow, ispirata ai dettagli sugli antenati di Björk, rivelati da un tampone di DNA che la National Geographic si è offerta di analizzare per lei, si qualifica tra i brani più sperimentali e turbinosi della sua discografia. Virus, forse il più “vespertino” della raccolta, racconta la storia “d’amore” tra un virus e una cellula. Nella relativa app il brano si interrompe qualora, entro il gioco interattivo, l’utente riesca a salvare temporaneamente la cellula dall’attacco del parassita. Musicalmente Björk traduce l’effetto d’invasione con un arrangiamento “generativo” del gamelaste, un pullulare di note che finisce per “appropriarsi” del brano. Dopo i toni cupi di Sacrifice (eseguita allo sharpsichord) il disco si avvia alla chiusura con le bizze dubstep di Mutual Core (cui contribuiscono Matthew Herbert e 16bit) per poi estinguersi nei contrappunti di arpa di Solstice, registrata dal vivo durante i live di Manchester. Biophilia abbonda di piccole, grandi narrazioni ed esperimenti: facile sentirsi perduti ad un primo ascolto. Non c’è niente, tuttavia, che non possa essere apprezzato senza il supporto di un iPad: tra le pieghe della tecnologia ancora una volta l’universo sonoro di Björk, nel suo farsi cerebrale, nulla sottrae al potere dell’istinto.
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